il limbo (tra utopia e realtà)

11 02 2010
Oggi è uno di quei giorni in cui la solitudine mi invade.
Per solitudine non intendo il mio solito e violento desiderio di alienazione, ma un improvviso e incomprensibile stato di emarginazione involontaria.
Tento di gettare ancore su terre troppo dure, che il tempo ha ormai essiccato. E’ un suolo impenetrabile che mi sta di fronte, eppure non riesco a smettere di camminarci sopra evitando di cadere.
Allontanarsi è stato tentativo vano, utopia desiderosa di utopie.
E se "l’utopia è salvezza", è altrettanto vero che essa non basta.
Non ci si può di certo confinare in eterno nell’idea di un altrove ipotetico che non può divenire reale.
La realtà: grave problematica per coloro che non sanno viverla.
L’alterità: unica salvezza che risiede nel "non luogo".
Eppure mi dico e ripeto ogni giorno (cercando di far prevalere il logos su quel maledetto pathos che da sempre mi perseguita), che è del tutto insensato voler abbandonare il luogo per un "non luogo".
Spesso tendo a confondere le due istanze, e mi perdo, e soffro, e mi sento incompresa, vagabonda di una vita che non riesco a vivere, e il mio unico desiderio è la fuga, il movimento… la stasi mi diventa insopportabile.
La stasi è come lo specchio che riflette tutta l’inutilità di ciò che sono. ( e ora in questa parentetica non riesco a fare a meno di dipingere le acque statiche di un lago che mi osserva, ed io come Narciso osservo ciò sono e desidero smuovere quelle acque affinchè smettano di mostrarmi tale immagine).
Ecco quì spiegato l’aformisma della mia esistenza: "ovunque io mi trovi vorrei sempre essere altrove"; oppure: "finchè ho una valigia in mano posso essere felice".
E di nuovo un verso di una canzone punk filosovietica risuona nella mia testa: "la morte è insopportabile per chi non riesce a vivere".
Quanta verità risiede in questo apparente paradosso!
Vorrei smettere di confondere il mio mondo immaginato con quello in cui mi tocca vivere, eppure non posso vivere nel mondo in cui mi tocca vivere senza quel mondo immaginario in cui non mi è concesso stare.
Vorrei essere semplificata come un equazione (e questo forse spiega molte cose).
Eppure la semplicità è qualcosa che non mi appartiene, qualcosa che quasi mi ripugna alle volte.
Forse la verità è che non vorrei affatto essere semplificata, la verità è che ciò che io ricerco e non riesco mai a raggiungere è qualcosa di ancora più complesso, qualcosa che mi compichi, e che si complichi con me.
E in mezzo a questo marasma di intricate complicazioni esistenziali, in questa fredda sera di Febbraio, mi rassegno e mi ritiro nel limbo che ho creato a metà strada tra il luogo e l’utopia. Solo se riesco a restare lì, in quel punto esiguo, tentando di non valicare mai il limes che separa i due mondi, forse potrò trovare un equilibrio.
E in questo limbo mi toccherà restare, perchè l’utopia è salvezza sì, ma solo nella consapevolezza che essa deve restare tale.
Se si tenta di realizzarla, essa non sarà più utopia, essa crollerà frantumandosi (e frantumandomi) in miraidi di pezzi scomposti che si confonderanno inevitabilmente con l’entropia di questa realtà contemporanea.


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Una risposta

28 02 2010
Alberto

Ciò che emerge con più forza tra tutte queste parole è il tuo instancabile desiderio di contrastare e opporti alla realtà e in ultima analisi, a te stessa. Visto che la lotta è troppo impari, per non lasciarti travolgere dal mondo reale, preferisci fuggire per ristabilire un nuovo equilibrio. Qui si introduce una nuova questione, un altro dualismo: la volontà di vivere in modo dinamico per non permettere alla vita di sfuggire e la continua ricerca di uno statico equilibrio. La fuga dalla realtà si traduce in un tentativo di razionalizzare la tua vita, e di fermarla per fare il punto. Questo non ti appartiene e sappi che il problema a mio avviso è di carattere leggermente diverso: non puoi restare ferma su quel confine che separa il luogo dall\’utopia, non è così che potrai equilibrare le cose…un equilibrio non è cosa statica, ma è una situazione del tutto dinamica in cui tu vai avanti e indietro in modo del tutto naturale. Quando il mondo esterno ti vede ferma, tu sei in continuo moto. Questa è l\’essenza dell\’equilibrio. Dipende da te capire come poterlo realizzare, ma in genere per questo tipo di cose l\’unica cosa che puoi fare è cercare di lasciarti trasportare dagli eventi del mondo reale e abbandonarti ad essi. A quel punto svilupperai autonomamente la capacità di passare dal logos al pathos senza che ciò ti sconquassi. Non so se sono stato chiaro, è difficile da spiegare e io faccio sempre molta fatica ad esprimermi, però spero che i concetti di base siano chiari…cmq è davvero profondo e complesso ciò che hai scritto, infatti è stato difficile elaborare una risposta, è un campo davvero tanto ampio. Ciao vale, buon proseguimento.

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